027-032

[27] CRIMINE,
[28] CRISI,
[29] CRITICA,
[30] CICLI (IMPULSI CICLICI),
[31] FORZE OSCURE,
[32] MORTE

[27]

CRIMINE

Come oggi si cerca di eliminare l’imposizione della forza dai rapporti interni delle nazioni, e com’è ormai ovvio che con l’uso di drastiche penalità non si è riusciti a prevenire il delitto, né a impedire l’egoismo violento (ciò che è appunto il crimine), e come il modo di pensare sociale (contrapposto all’atteggiamento antisociale di tutti i delinquenti) è ora considerato giusto e insegnato nelle scuole, così albeggia nella coscienza pubblica che l’insegnamento dei giusti rapporti e l’incremento dell’autocontrollo e dell’altruismo (che sicuramente sono la meta, soggettiva e spesso non realizzata, di ogni procedura legale) sono la giusta via per accostarsi alla gioventù.

Il delitto sarà domato quando saranno migliori le condizioni ambientali in cui vivono i fanciulli, quando già nei primi anni formativi si presterà attenzione fisica all’equilibrio del sistema ghiandolare, ai denti, agli occhi e alle orecchie, alla corretta postura e alimentazione, e quando anche il tempo sarà meglio ripartito; quando la psicologia e l’astrologia esoteriche contribuiranno con il loro sapere all’educazione dei giovani. I vecchi metodi devono cedere ai nuovi, e l’atteggiamento conservatore dev’essere abbandonato mediante l’educazione e gli esperimenti religiosi, psichici e fisici, applicati in modo scientifico e motivati dal misticismo. Quando dico religiosi, non intendo dottrine o teologie. Intendo il coltivare attitudini e condizioni capaci di evocare nell’uomo la realtà e di far salire in primo piano l’uomo spirituale interiore, quindi far riconoscere Dio Immanente. (16 – 237).

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[28]

CRISI

(1) Non schivate queste crisi, per dure e difficili che sembrino. Certo, sono ardue. Non dimenticate però che l’abitudine ad affrontare le crisi è da gran tempo stabilita nella coscienza dell'umanità. L’uomo “è abituato alle crisi”, per così dire. Non sono che esami per controllare forza, proposito, purezza e movente dell’intento dell'anima. Una volta superate suscitano fiducia ed estendono la visione. Alimentano compassione e comprensione, poiché il dolore e il conflitto interiore da esse generati non si scordano mai, in quanto attingono dalle risorse del cuore. Sprigionano la luce della saggezza, la diffondono nel campo della conoscenza e arricchiscono il mondo. (16 – 477).

(2) Questa crisi creativa (per l’umanità) è stata resa possibile da tre eventi principali:

1. La conclusione di un ciclo di venticinquemila anni o movimento intorno a quello che è chiamato zodiaco minore. Ciò significa la fine di un importante ciclo d’esperienza nella vita del nostro Logos planetario…

2. La fine dell’era dei Pesci. Ciò significa semplicemente che le energie provenienti dai Pesci durante gli ultimi duemila anni ora vengono rapidamente sostituite dalle energie provenienti dall’Acquario. Queste determinano importanti cambiamenti nella vita del Logos planetario e ne influenzano potentemente il corpo di manifestazione per mezzo dei suoi tre centri principali: Shamballa, Gerarchia e Umanità.

3. La crescente attività dominante del settimo raggio, dell’ordine o Magia Cerimoniale, come è talvolta erroneamente chiamato. Questo raggio viene ora in manifestazione ed è in stretta cooperazione con i due fattori precedenti. (18 – 550/1).

(3) Senza tali momenti di crisi, la vita ristagna a un livello morto e (anche se utile) non offre occasione di sforzo estremo, col conseguente bisogno di ricorrere alle piene risorse dell’anima. (5 – 269).

(4) Utilizzare le crisi è la caratteristica del discepolo, e ogni crisi affrontata e risolta in modo corretto fornisce (una volta che la difficoltà sia occultamente “calpestata”) il punto dal quale può essere ottenuta una visione ampia, può fluire nuova conoscenza e la luce che trasmuta può splendere dall’Angelo della Presenza e produrre così dei risultati.

Ognuno di voi è passato attraverso un ciclo di vere difficoltà e di tensione. Questo è vero per tutti i discepoli.  (6 – 13).

Vedi anche: (6 – 644).

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CRITICA

(1) Perché (il non criticismo) è considerato un requisito tanto essenziale? …

Perché in uno scatto improvviso di pensiero critico, tutta la personalità può essere portata a una potente coordinazione, ma di tipo sbagliato e con effetti disastrosi. Perché la critica, essendo una facoltà della mente inferiore, può nuocere e ferire e nessun uomo può avanzare sul Sentiero finché può ferire e far soffrire coscientemente. Perché il lavoro di magia bianca e l’attuazione del proposito gerarchico incontrano ostacoli fondamentali nei rapporti esistenti fra i suoi collaboratori e i discepoli. Sotto la pressione della presente opportunità non c’è tempo per le critiche tra collaboratori. Rappresentano un reciproco impedimento e ostacolano il lavoro.

… Esorto tutti coloro che leggono queste istruzioni a dimenticare le loro simpatie e antipatie, a trascurare gli ostacoli della personalità che inevitabilmente esistono in loro e in tutti coloro che operano sul piano fisico, ostacolati dalla personalità. Esorto tutti i collaboratori a ricordare che il momento dell’opportunità è giunto, ma che ha un termine. Questo tipo d’opportunità non durerà per sempre. La meschinità degli attriti umani, l’incapacità di comprendersi l’un l’altro, i piccoli difetti radicati nella personalità e che, dopo tutto, sono effimeri, le ambizioni e le illusioni devono tutte scomparire. Se i lavoratori mettessero in pratica il distacco, sapendo che la Legge opera e che i propositi di Dio devono giungere ad una conclusione finale, se imparassero a non criticare mai nel pensiero o con le parole, la salvezza del mondo procederebbe rapidamente e la nuova era d’amore e illuminazione verrebbe inaugurata. (4 – 560/1).

(2) Uno dei più gravi errori in cui incorrono oggi i discepoli è di prestare eccessiva attenzione ai difetti, agli errori e alle attività degli altri discepoli, mentre trascurano il proprio adempimento della legge di amore, il loro dharma e il loro lavoro. …

Oggi il neofita deve imparare la stessa lezione di badare al suo perfezionamento e al suo lavoro, mediante il silenzio interiore che lo avvolge, costringendolo ad attendere alle sue mansioni, lasciando liberi gli altri di fare lo stesso, e quindi imparare dall’esperienza. Oggi buona parte dell’attività necessaria è ritardata dai rapporti verbali fra i discepoli, e molto tempo è perduto in discussioni sul lavoro e sulle attività di altri discepoli. Oggi come non mai l’umanità nel suo insieme ha bisogno di silenzio, di tempo per riflettere e percepire il ritmo universale. Ai discepoli moderni, se vogliono lavorare nel modo auspicato e cooperare correttamente con il Piano, occorre quella quiete riflessiva interiore che non esclude affatto l’intensa attività esterna, ma che libera dal criticismo verbale, dalle discussioni febbrili e dalla costante preoccupazione del dharma, dei moventi e metodi dei condiscepoli. (15 – 43/4).

(3) Ricordate che il criticismo è un veleno virulento. Danneggia sempre chi critica, a causa della direzione impressa a voce, e ancor più chi è oggetto di critica. Quando vi siano purezza di movente, vero amore e grande distacco, chi è attaccato può restare immune nei corpi sottili, ma ne risente fisicamente e, se ha un punto debole nell’organismo, si dirige il veleno proiettato.

Il criticismo è ugualmente pericoloso se inespresso, perché fortemente focalizzato e diretto con violenza anche se non in senso individuale; emana senza posa, come un flusso costante, sulle ali della gelosia, dell’ambizione e dell’orgoglio, in base a una visione personale della situazione e perché chi critica è convinto di saper agire, ne avesse l’occasione, in modo corretto.  (15 – 617).

(4) Vigilate con cura i vostri pensieri reciproci, sopprimete immediatamente ogni sospetto, ogni critica e cercate di sostenervi a vicenda, senza deflettere, nella luce dell’amore. (5 – 10).

(5) La critica è salutare finché non le si permette di essere distruttiva. (5 – 786).

(6) A volte indubbiamente la critica non è che il riconoscimento di un fatto. Ciò significa che il discepolo che critica ha raggiunto il punto in cui il suo giudizio è basato sull’amore tanto da non produrre effetti di personalità nella propria vita o in quella del condiscepolo. È semplicemente il riconoscimento amorevole di certe limitazioni, e diviene ingiusto soltanto quando si usano questi fatti indiscussi per sollevare critiche sull’aspirante incapace e provocare discussioni. (5 – 725)

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[30]

CICLI (IMPULSI CICLICI)

(1) “La meditazione dell’anima è di natura ritmica e ciclica, come ogni altra cosa nel cosmo. L’anima respira e con ciò la sua forma vive”. … In tutta la natura c’è un flusso e riflusso e nelle maree dell’oceano abbiamo il meraviglioso esempio di una legge eterna. Quando l’aspirante si adatta alle maree della vita dell’anima, comincia a rendersi conto che un afflusso vitalizzante e stimolante è sempre seguito da un riflusso, certo e inevitabile come le immutabili leggi della forza. Questo flusso e riflusso può essere riconosciuto nell’avvicendarsi della morte e della rinascita. Può essere scorto nel succedersi delle vite di un uomo, poiché alcune esistenze sono apparentemente statiche e prive di eventi, lente e inerti dal punto di vista dell’esperienza dell’anima, mentre altre sono vibranti, piene di esperienze e di progresso. Questo deve essere ricordato da voi tutti, quando cercate di aiutare gli altri a vivere rettamente. (4 – 62).

(2) Questi impulsi ciclici nella vita del discepolo sono molto più frequenti, rapidi e potenti che nella vita dell’uomo di media evoluzione; talvolta si alternano tanto rapidamente da causare sgomento. L’esperienza della vetta e della valle, nella vita del mistico, non è che un altro modo di esprimere questo flusso e riflusso. A volte il discepolo cammina nella luce del sole, altre nelle tenebre; talvolta egli conosce la gioia della piena comunione poi tutto gli sembra di nuovo tetro e sterile; occasionalmente il suo servizio è un’esperienza feconda e soddisfacente e gli sembra di essere veramente in grado di aiutare; altre volte gli sembra di non avere nulla da offrire e il suo servizio è arido e apparentemente senza risultato. Tutto gli è chiaro in certi giorni e gli sembra di essere sulla vetta della montagna a contemplare un vasto paesaggio assolato, dove tutto è chiaro alla sua visione. Sa e sente di essere un figlio di Dio. Poi sembra che le nuvole riappaiano, non si sente più sicuro di nulla e gli sembra di non sapere più nulla. Talora cammina nella luce del sole, quasi sopraffatto dallo splendore e dal calore dei suoi raggi, e si chiede per quanto tempo si prolungherà l’instabilità di queste esperienze, il violento alternarsi di questi opposti.

Tuttavia, una volta compreso che sta osservando l’effetto esercitato sulla sua natura formale dagli impulsi ciclici e dalla meditazione dell’anima, il significato diventa più chiaro ed egli si rende conto che è l’aspetto forma che risponde erroneamente e che reagisce in modo disuguale all’energia. Impara allora che quando sarà in grado di vivere nella coscienza dell’anima e raggiungere le “grandi altezze” a volontà, le fluttuazioni della vita della forma non lo toccheranno più. Percepisce allora il sentiero stretto come filo di rasoio, che conduce dal piano della vita fisica al regno dell’anima e trova che, percorrendolo con piede fermo, esso lo condurrà fuori dall’instabile mondo dei sensi, nella chiara luce del giorno e nel mondo della realtà.  (4 – 63).

(3) Possa esserci un pieno e costante afflusso di forza ciclica dal regno dello spirito in ciascuno di noi, che ci porti nel regno della luce, dell’amore e del servizio e susciti una risposta ciclica da ciascuno! Possa esserci uno scambio costante fra colui che istruisce e il discepolo che cerca istruzioni! (4 – 64/5).

(4) Il flusso e riflusso della vita giornaliera nel corso di un’incarnazione particolare mostrerà anch’esso i suoi intervalli, che l’aspirante dovrà imparare a riconoscere e utilizzare. Egli deve tener nota della distinzione fra intensa attività verso l’esterno, periodi di ritiro e intervalli in cui la vita esteriore sembra statica e priva d’interesse attivo. Deve far questo se vuole avvalersi pienamente dell’opportunità che l’esperienza della vita intende offrirgli. L’insieme della vita non si concentra in uno sfrenato e continuo correre al lavoro, ma neppure è una siesta eterna. Normalmente essa ha il suo battito ritmico, la sua vibrazione e la sua pulsazione particolare. In alcune vite il ritmo ed il sistema d’attività cambiamo ogni sette anni; in altre ogni nove od undici anni. In altre ancora i cicli sono più brevi e mesi di strenuo sforzo sono seguiti da mesi di apparente assenza d’ogni sforzo. Vi sono poi persone la cui organizzazione è così sensibile, che nel bel mezzo del lavoro si presentano eventi e circostanze che le costringono a un temporaneo ritiro, durante il quale assimilano le lezioni apprese nel corso del periodo di lavoro precedente. (4 – 514).

(5) La crescita è un unico lungo periodo di costruire per poi distruggere, di edificare per poi disorganizzare, di sviluppare certi processi ritmici per poi scinderli e forzare il vecchio ritmo a cedere di fronte al nuovo. (2 – 82).

(6) L’apparire periodico governa dunque i raggi come i regni di natura e le forme che contengono. Determina persino l’attività di Dio. Le razze s’incarnano, scompaiono e si reincarnano, come tutte le vite nella forma. La reincarnazione, ossia l’attività ciclica, è alla base d’ogni parvenza e attività fenomenica.  (14 – 266/7).

(7) La via dell’aspirante tocca a volte un culmine e potrebbe essere descritta come una serie di cicli di progresso costante accentuato, a intervalli, da definiti periodi di sviluppo forzato durante i quali una limitazione dopo l’altra viene energicamente rimossa dall’aspirante stesso. Tutti i limiti e gli impedimenti devono sparire. (5 – 598).

(8) I “cicli d’interesse”, o quei periodi nei quali i Maestri prestano accurata attenzione all’aspetto qualità del genere umano, sono anch’essi in fase di accelerazione; il processo di “valutazione” avrà luogo ora ogni trecento anni anziché ogni mille, com’era stato fino al 1575 d.C. (6 – 335)

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[31]

FORZE OSCURE

(1) Qui vorrei accennare all’attività parallela delle forze all’opera per impedire l’esteriorizzarsi della Gerarchia di Luce, poiché ciò significherebbe aumento del loro potere, perché comprovato. Come sapete, sui piani astrale e mentale esistono centri detti “centri oscuri”, poiché la loro azione è impostata sull’aspetto materiale della manifestazione e sull’attività della sostanza materiale; tutta l'energia è asservita a scopi puramente egoistici. Come ho già affermato, le Forze della Luce operano con l’anima, nascosta in ogni forma. Lavorano a fini di gruppo e per fondare il regno di Dio in terra. Le forze delle tenebre operano sull’espressione formale, per istituire un centro di dominio completamente in loro potere e sottomettere ai loro ordini le forme viventi in tutti i regni di natura. È una vecchia storia, familiare nella fraseologia biblica, dei regni del mondo e del regno di Cristo, del potere del Cristo e dell’Anticristo. Ciò culminò ai tempi dell’Atlantide e la Gerarchia della Luce trionfò, ma di stretta misura. La battaglia si combatté sul piano astrale, pur con corrispondenze sul piano fisico, in un grande conflitto mondiale di cui narrano antiche leggende. Si concluse con la catastrofe del Diluvio. Fin da allora si coltivarono i semi dell’odio e della separatività, e i tre mezzi che le forze delle tenebre usano per dominare l’umanità sono odio, aggressione e separatività. Le loro grandi controparti spirituali sono amore, condivisione altruistica e sintesi.

Ciò nonostante, la stretta delle forze che avversano il principio vivente dell’amore (incarnato nella Gerarchia) non guadagna terreno attualmente, poiché la rispondenza umana al bene e alla sintesi è più rapida e generale di quanto non fosse qualche secolo fa. Si ha ragione di sperare che quell’indesiderabile dominio abbia a scemare. Le forze delle tenebre, sul piano fisico sono governate da sei capi orientali e da altrettanti occidentali; i primi sono più potenti dei secondi, poiché di razza più antica e quindi più esperti. Essi operano intensificando l’annebbiamento astrale e stimolando i poteri psichici inferiori. Loro bersaglio principale è ora il gruppo di discepoli e iniziati mondiali, poiché responsabili di diffondere l’amore nel mondo e di affratellare gli uomini in spirito di unità. Se falliranno ora il bersaglio, la Gerarchia potrà esteriorizzarsi e con ciò diminuire di molto la potenza delle cosiddette forze del male.

Se queste non riescono a far cadere i discepoli in qualche forma di annebbiamento astrale, sia in gruppo che individualmente, tenteranno di servirsi dell’annebbiamento collettivo per frustrarne gli sforzi e costringere coloro che lavorano con i discepoli a reputarli male, a fraintenderne i moventi e denigrarli in modo così convincente da isolarli nella loro lotta. Se ciò non riesce, attaccano i corpi fisici di chi lavora e agisce per la Gerarchia e tentano di averne ragione con le sofferenze fisiche. Questo non sempre riesce, poiché il Maestro può proteggere il discepolo, e spesso la fa. Le forze delle tenebre agiscono anche intensificando o stimolando il meccanismo psichico, per sviluppare in modo anormale e prematuro i poteri psichici inferiori fino a renderli quasi incontrollabili. Ciò avvenne su larga scala ai tempi dell’Atlantide e il piano astrale fu del tutto svelato, ma non compreso. Le sue potenze indesiderabili furono allora liberate nel mondo fisico e ne seguì la contesa fra le due grandi scuole di misteri — Luce e Tenebre —che culminò nella distruzione del mondo allora conosciuto.

Oggi queste potenze, luce e tenebre, tornano a lottare per espressione e supremazia del piano fisico, ma questa volta il risultato è ben diverso. Lo sforzo per creare il contatto con l’anima o impedirlo si risolve in disturbi nervosi e stati patologici e ciò influenza potentemente l’attività umana collettiva. Il tentativo delle forze delle tenebre di stimolare i poteri psichici inferiori sembra non penetrare, nella materia e nella forma, oltre il veicolo eterico, da cui condiziona fisiologicamente il fisico sotto forma di malattie, lesioni, disturbi nervosi e cerebrali, e nei molti altri modi che rendono l’essere umano indifeso e incapace di tener testa alla vita quotidiana e alle condizioni del mondo moderno. Ma la mente ha ormai raggiunto uno stadio di efficienza protettiva e fra le grandi barriere difensive gettate attorno all’umanità vi sono lo scetticismo e il rifiuto di ammettere l’esistenza o l’utilità dei poteri psichici. È cosa da ricordare.  (15 – 576/9).

(2) L’arma principale usata attualmente dalle Forze del Male è il caos, il disgregamento, la mancanza di sicurezza stabile e la paura che ne consegue. … Il ritmo del pensiero internazionale deve essere completamente mutato, e ciò costituisce un compito lento e arduo; le personalità malvage che in tutti i paesi sono responsabili del caos e dell’incertezza dovranno infine essere sostituite da coloro che possono lavorare in cooperazione col ritmo del settimo raggio, producendo così la bellezza ordinata. (13 – 668).

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[32]

MORTE

(1) Parlo della morte conoscendo l’argomento sia dal lato dell’esperienza del mondo esterno che da quello dell’espressione della vita interiore: la morte non esiste. Come sapete, vi è l’ingresso ad una vita più piena. C’è libertà dagli ostacoli del veicolo carnale. Il tanto temuto processo di distacco non esiste, salvo nei casi di morte violenta e improvvisa e, anche allora, di veramente sgradevole c’è soltanto un istantaneo e opprimente senso di pericolo e distruzione imminenti e una sensazione molto simile a una scossa elettrica. Null’altro. Per l’essere poco evoluto la morte è letteralmente sonno e oblio, poiché la mente non è sufficientemente sveglia per reagire e il serbatoio della memoria è ancora praticamente vuoto. Per il buon cittadino medio, con la morte il processo vitale continua nella sua coscienza e prosegue con gli interessi e le tendenze della sua vita. La sua coscienza e il suo senso di consapevolezza rimangono invariati. Egli non avverte una grande differenza, ci si prende cura di lui e spesso egli non si rende conto di avere attraversato l’episodio della morte.

Per i malvagi e crudelmente egoisti, per i criminali e quei pochi che vivono unicamente per ciò che è materiale si determina la condizione che definiamo “legato alla terra”. I legami che hanno creato con la terra e la tendenza terrena di tutti i loro desideri li costringono a rimanere in prossimità della terra e della loro ultima residenza terrena. Essi, cercano disperatamente e con ogni mezzo possibile di ristabilire il contatto e rientrare. In qualche raro caso, un grande amore personale per coloro che sono stati lasciati o il fatto di non aver adempiuto un dovere riconosciuto e urgente trattiene anche esseri buoni e interiormente belli in una condizione quasi analoga. Per l’aspirante, la morte è l’accesso immediato ad una sfera di servizio e d’espressione alla quale è abituato e che riconosce subito come non nuova. Durante le ore di sonno egli ha sviluppato un campo di servizio attivo e di studio. Ora egli vi trascorre semplicemente tutte le ventiquattro ore (per usare il concetto di tempo terreno) invece delle consuete poche ore di sonno.  (4 – 300/1).

(2) La mente dell’uomo è così poco sviluppata che il timore dell’ignoto, il terrore di ciò che è inconsueto e l’attaccamento alla forma hanno creato una situazione in cui una delle circostanze più benefiche nel ciclo di vita di un Figlio di Dio che s’incarna, è considerata come qualche cosa da evitare e rinviare il più a lungo possibile.

La morte, se solo potessimo rendercene conto, è una delle nostre attività più praticate. Siamo morti molte volte e moriremo molte volte ancora. La morte riguarda essenzialmente la coscienza. In un dato momento siamo coscienti sul piano fisico e un momento dopo ci siamo ritirati su un altro piano dove siamo attivamente coscienti. La morte conserverà per noi il suo vecchio aspetto terrificante solo fintanto che la nostra coscienza s’identificherà con la forma. Non appena ci riconosceremo quali anime e scopriremo di essere in grado di focalizzare la nostra coscienza, o senso di consapevolezza, in qualsiasi forma o piano a volontà, o in qualunque direzione entro la forma di Dio, per noi la morte non esisterà più. … Gli uomini dimenticano tuttavia che ogni notte, durante le ore di sonno, noi moriamo al piano fisico e siamo vivi e attivi altrove. Essi dimenticano di aver già acquisito la facoltà di lasciare il corpo fisico, ma non potendo riportare nella coscienza del corpo fisico il ricordo di quel passaggio e del successivo periodo di vita attiva, non riescono a collegare morte e sonno. La morte, dopo tutto, non è che un intervallo più lungo nella vita attiva del piano fisico; semplicemente, “si esce” per un periodo più lungo. Il processo del sonno quotidiano e quello della morte sono tuttavia identici, con la sola differenza che nel sonno il filo magnetico, o corrente d’energia lungo la quale scorre la forza di vita, è mantenuto intatto e costituisce il sentiero di ritorno nel corpo. Nella morte questo filo della vita viene spezzato. Quando ciò è avvenuto, l’entità cosciente non può tornare al corpo fisico denso e quel corpo, privato del principio di coesione, si disintegra.  (4 – 494/5).

(3) Il giovane dimentica, giustamente, l’inevitabilità di quel simbolico distacco finale che chiamiamo Morte. Ma quando la vita gli ha dato quel che doveva e l’età gli ha tolto interesse e forza, l’uomo stanco e tediato del mondo non teme più il distacco e non cerca più di aggrapparsi a quanto aveva prima desiderato. Accoglie di buon grado la morte e lascia volentieri ciò che prima attraeva la sua attenzione. (15 – 76).

(4) Morte, come intesa dalla coscienza umana, dolore e sofferenza, sventura e calamità, gioia e miseria, sono tali soltanto perché l’uomo s’identifica ancora con la vita della forma e non con la vita e la coscienza dell’anima, l’angelo solare. … Nel momento in cui l’uomo s’identifica con l’anima e non più con la forma, comprende il significato della Legge di Sacrificio; ne è spontaneamente governato e, con intento deliberato, sceglierà di morire. Ma ciò non comporta dolore, né sofferenza, né vera morte.  (15 – 94).

(5) L’intento dev’essere che ogni uomo muoia — dato che deve morire — quando l’anima lo richieda. Un giorno, quando sarà giunto in una fase più elevata di evoluzione, egli saprà ritrarsi in piena coscienza dal corpo fisico, a tempo debito e con volontà deliberata. Lo lascerà silenzioso e svuotato dell’anima; spento, ma sano e integro; il corpo si disintegrerà allora, seguendo il decorso naturale e i suoi atomi costituenti torneranno al grande “gruppo delle unità che attendono”, finché non saranno richiesti da altre anime in procinto d’incarnarsi. Lo stesso processo si ripete nel lato soggettivo della vita: molti però hanno già imparato come ritrarsi dal corpo astrale senza essere soggetti a quell’“impatto nella nebbia” — che è la maniera simbolica di descrivere la morte dell’uomo sul piano astrale. L’uomo si ritrae quindi a livello mentale e lascia la sua carcassa astrale ad accrescere la nebbia e a ispessire la sua densità. (17 – 29).

(6) La morte è un fenomeno presente su questo pianeta fin dall’inizio del tempo; forme vi sono apparse e scomparse; alberi, animali e forme umane hanno conosciuto la morte da tempo immemorabile, eppure il nostro pianeta non è un ossario, come si sarebbe indotti a pensare, ma una creazione di bellezza che neppure l’uomo riesce a distruggere. Le forme muoiono e si dissolvono in ogni istante, senza contaminare, né contagiare, né sfigurare la superficie del pianeta. La dissoluzione in realtà comporta effetti benefici. Riflettete su questa attività benefica e pensate alla bellezza della morte e della scomparsa delle forme contemplata dal piano divino. (17 – 245).

(7) L’epoca attuale ha assistito alla più grande distruzione di forme umane verificatasi sul pianeta. Ma non c’è stata distruzione di esseri umani. Notate questa affermazione. Proprio grazie a questa colossale distruzione, l’umanità ha compiuto un gran balzo verso un atteggiamento più sereno nei confronti della morte. Ciò non è ancora evidente, ma fra pochi anni sarà apprezzabile e la paura della morte comincerà a scomparire dal mondo. Tutto ciò sarà anche ampiamente dovuto alla migliore capacità reattiva dell’organismo umano, col conseguente riorientarsi all’interno della mente, con effetti imprevedibili. (17 – 432).

(8) Se sapeste penetrare un po' di più nell’argomento, vedreste che la morte libera la vita individuale verso un’esistenza meno confinata e contratta e infine, quando il processo è stato applicato a tutti e tre i veicoli nei tre mondi, la restituisce alla vita universale. Questo è un livello d’indicibile beatitudine. (17 – 433).

(9) Uccidere è un delitto basato sul fatto che s’interferisce col proposito dell’anima e non perché si distrugge un particolare corpo fisico umano. … Sovente la morte pare sopraggiungere senza motivo, ma solo perché s’ignora l’intento dell’anima; lo sviluppo passato nel processo dell’incarnazione resta oscuro; si ignorano le antiche eredità e gli ambienti e non ci si educa ad ascoltare la voce dell’anima. Questi sono tuttavia fatti che stanno per essere riconosciuti; la rivelazione si approssima e io ne pongo le fondamenta. (17 – 436).

(10) La morte, per l’uomo comune dotato di raziocinio, è un momento di crisi catastrofico; è la cessazione e la fine di tutto ciò che ha amato, di tutto quanto gli è familiare e che può essere desiderato; un salto brusco nell’ignoto, nell’incerto, la conclusione improvvisa di tutti i progetti. Per quanta fede sincera si nutra nei valori spirituali, per quanto siano chiare le speculazioni della mente sull’immortalità, per quanto sia definita l’evidenza dell’eterno persistere, resta pur sempre un interrogativo, il riconoscimento della possibilità che tutto possa finire e sparire completamente, con tutta l’attività, le relazioni affettive, i pensieri, le emozioni, i desideri, le aspirazioni e i propositi che ruotano attorno al nucleo centrale dell’essere umano. Anche per il credente più fermo, il desiderio di persistere e il senso di continuità basano su un terreno instabile e sulla testimonianza di altri — che invero non sono mai tornati a raccontare la verità.  (17 – 438), (18 – 102).

(11) Alcuni brani, estratti dal Manuale della Morte conservato negli archivi della Gerarchia, potrebbero servire a chiarire il fenomeno della morte, presentandolo in una prospettiva diversa. …Questo scendere e salire dagli uomini è chiamato vita, esistenza e morte; ma Noi, che camminiamo sulla Via illuminata, lo chiamiamo morte, esperienza e vita.

La luce che scende si ancora sul piano dell’apparenza temporanea. Emette sette fili, lungo i quali pulsano sette raggi di luce. Da questi si dipartono ventuno fili minori e ne nascono quarantanove fuochi, che ardono e splendono. Sul piano della vita manifesta, viene emanata la parola: ‘Ecco! È nato un uomo’.

La vita procede, appare la qualità della luce; fioca e offuscata, o radiosa, chiara e brillante. Così i punti di luce entro la Fiamma passano e ripassano, vanno e vengono. Per gli uomini questa è vita, essi la chiamano vera esistenza. S’illudono, ma servono il proposito della loro anima e si inseriscono nel grande Piano.

E si ode una Parola. Il punto di luce radiante disceso ora sale, in risposta alla nota di richiamo udito appena, attratto dalla sua sorgente. Per gli uomini è morte, per l’anima è vita. (17 – 468/9).

(12) Ora la morte è effetto della volontà dell’anima. Un giorno dovrà essere determinata dalla volontà dell’anima e della personalità unite; allora la morte non farà paura. (5 – 669).

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